C’era una volta, tanto tempo fa nel lontano ottocento, una signora di nome Concetta Barone originaria di un piccolo paesino del Molise, San Martino in Pensilis.
Concetta era molto devota a San Giuseppe protettore dei padri, tanto da instituire nella sua umile dimora un altare in onore del Santo.
Trasferitasi a Termoli, portò con sè questa sua usanza e da allora questa sua forte devozione diventò una tradizione molto sentita nella città costiera.
Ogni anno infatti, dopo la benedizione del parroco, nel pomeriggio del 18 marzo e fino al giorno dopo, si rinnova quest’antica tradizione.
Gli altarini di San Giuseppe
L’usanza vuole che alcune famiglie termolesi, le più devote, allestiscano un altare in onore di San Giuseppe nelle proprie case e aprano le porte della propria abitazione al pubblico.
Conosciuti come “i Vetäre de San Gesèppe”, possono essere definiti come delle vere e proprie opere d’arte.
Gli altari sono costituiti da drappi, coperte di seta e nastri, preferibilmente di un colore delicato.
Composti da 2 o 3 scalini, viene poi posta una raffigurazione di San Giuseppe e della Sacra Famiglia circondata da decorazioni di fiori, spighe di grano, ceri ed elementi che riconducono al mestiere di falegname del Santo.
Di fianco all’altare viene realizzata una grande tavolata ricca di cibo di ogni tipo, ma rigorosamente magro nel rispetto del periodo Quaresimale.
Pesce, verdure, legumi, olio e frutta sono gli alimenti che imbandiscono la tavola. Non mancano poi i dolci, tra cui si notano quelli a forma di bambola e cavalluccio e le note zeppole di San Giuseppe.
Un ruolo importante lo si dà al pane che è sempre presente su queste belle e ricche composizioni. Vengono, infatti, realizzate 3 grandi pagnotte circolari su cui sono raffigurati i simboli della Sacra Famiglia, la croce, il bastone e la corona.
La celebrazione di San Giuseppe
La particolarità di questa celebrazione sta nella vera e propria adorazione al Santo, caratterizzata da preghiere, inni, canti e poesie.
Queste recite sono eseguite a turno da delle bambine di età compresa tra i 5 e i 12 anni, chiamate “le verginelle”. Vestite rigorosamente di bianco e con in testa una coroncina di fiori come simbolo di purezza.
Ad ogni visitatore esterno che ammira l’altrare, offre una preghiera e assiste alle recite delle bambine, viene poi donato l’immaginetta del Santo, un panino benedetto e un sacchetto pieno di “grano di San Giuseppe”, un misto di grano, lenticchie, cicerchia, fave, granoturco e fagioli lessi e benedetti.
Al termine della celebrazione, il giorno seguente, la tradizione vuole che venga offerto un pranzo di 13 portate ad una delle famiglie più povere. Ad oggi le pietanze degli altarini vengono donati alle mense dei poveri.
Inizialmente questa antica usanza era praticata da una sola famiglia, quella della signora Barone, le cui discendenti hanno continuato a tramandarsi questa bella e ricca tradizione. Solo molto più tardi, anche altre famiglie del Borgo Antico e alcune associazioni hanno deciso di partecipare nella realizzazione degli altari e di aprire le porte delle proprie case al pubblico.
E come da tradizione, nella mia famiglia, la sera del 18 marzo festeggiamo il Santo con un fioretto, portanto in tavola solo le pietanze donateci dalle famiglie degli altarini, pronti poi, il giorno seguente, per celebrare la festa del papà.
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